Il certificato Covid digitale può essere un valido strumento per rilanciare il turismo e i viaggi. Ma non può diventare uno strumento per discriminare i cittadini, come sta avvenendo in diversi Paesi europei. Ecco perché ho firmato la risoluzione della collega Susanna Ceccardi in cui si chiede all’Ue di far rispettare il regolamento che abbiamo approvato al Parlamento europeo sul cosiddetto green pass. In quel regolamento, grazie alle pressioni della Lega, abbiano chiarito che il certificato non deve restringere le libertà fondamentali. Impedire l’accesso dei cittadini a determinati servizi, come la ristorazione, violerebbe pertanto tale previsione. Ma non solo: sarebbe paradossale che un certificato nato anche per far ripartire turismo e ristorazione, ossia i settori più colpiti dalla pandemia, finisca per deprimere la ripresa proprio di tali settori e dell’intera economia.
No al “Prosek” Croato, UE intervenga
La Commissione europea faccia rispettare le sue regole e blocchi sul nascere il tentativo della Croazia di appropriarsi di una delle eccellenze del made in Italy, il Prosecco. Questo vino, apprezzato in tutto il mondo, subisce già da tempo tentativi di imitazione fuori dal mercato Ue. Ed è inaccettabile che a sfruttare l’italian sounding sia adesso un Paese membro dell’Unione. Ricordo agli amici croati e alla stessa Commissione che il nome Prosecco è legato al territorio in cui è nato e che le regole Ue tutelano le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche protette da ogni forma di concorrenza sleale, compresa l’evocazione del nome. In questo caso, poi, siamo di fronte a una traduzione palese dall’italiano al croato. Accettare un abuso del genere vorrebbe dire minare l’intero impianto su cui l’Europa ha costruito un pezzo centrale delle sue politiche agricole.